Dopo anni di discussione, eccola: l’articolo n.3 del Decreto Legislativo 23/2011 ha, dal 7 aprile, introdotto la cedolare secca, una nuova forma di ordinamento del mercato degli affitti. Proviamo a capirci di più.
Di cosa si tratta
Chi, invece, al 7 aprile non aveva ancora registrato un nuovo contratto di locazione può farlo entro il 6 giugno, scegliendo tra il modello 69, cartaceo, o il modello Siria, Servizio Internet per la Registrazione di contratti per quegli Immobili utilizzati come Abitazione: questo modello può essere inviato solamente attraverso il sito dell’agenzia delle Entrate. In entrambi i casi, comunque, va versato l’acconto d’imposta.
Come capire se conviene
L’introduzione della nuova normativa è stata salutata da molti con favore, visto che in diversi casi implicherà tassazioni più vantaggiose per chi affitta casa, anche ciò se non è vero per tutti i proprietari.
Per capire se questa conviene o meno bisogna confrontare le aliquote fisse (21 o 19%) con l’aliquota Irpef applicata al contribuente. Mentre la cedolare va applicata su tutto il canone, l’Irpef ha deduzioni forfettarie (il 15% sull’affitto di mercato, il 40,5% sull’affitto concordato). Inoltre, anche se impedisce futuri aumenti di canone, la cedolare assimila cinque altre imposte: imposta di bollo, imposta di registro (ma non restituisce quelle già versate), l’Irpef e le sue addizionali, regionali e comunali.
A ben vedere, la cedolare secca conviene a chi ha un’aliquota superiore al 23% (oltre 15mila euro) e affitta con canone libero: se è concordato, è conveniente solo a partire dal terzo scaglione (oltre il 27%). Solo quando l’aliquota sul reddito è sostanziosa le tassazioni fisse della cedolare saranno una scelta fruttuosa per il proprietario dell’immobile.