L’ultimo rapporto Ispra parla chiaro: l’Italia sta inesorabilmente consumando troppo terreno per cementificare. Nello studio del 2015 è emerso che ben 55 ettari al giorno vengono letteralmente divorati dal cemento di locali commerciali, di infrastrutture e di ampliamento di zone urbane con densità bassa. Il calcolo parla di 6/7 metri quadri cementificati al secondo.
Per quanto riguarda la fascia costiera, quella più minata dalle nuove costruzioni che masticano la sabbia e le rocce delle nostre bellissime spiagge, il 20% è già scomparsa: si tratta dell’equivalente di tutta la costa sarda. Tra le fasce di territorio consumate, figurano anche 34.000 ettari di aree protette. Sono più esposte alla cementificazione le zone agricole, seguite da quelle urbane e da quelle di terre naturali.
Nell’ambito cittadino sono ovviamente le periferie quelle che vedono apparire sempre più velocemente nuovi blocchi di cemento, portando a un’espansione molto rapida del centro urbano e a conseguenti pericoli idrogeologici. Il Governo, sensibilizzato da molte Associazioni, si sta muovendo con lo scopo di partorire un disegno di legge che ponga dei grandi paletti alla cementificazione in Italia: a oggi non esistono regole per questa attività che si fa sempre più selvaggia.
Per quanto riguarda la situazione regionale e locale, la Lombardia e il Veneto sono le aree più cementificate (il 10% del suolo è consumato); la Liguria è la peggior regione per le costruzioni entro i 300 metri dalla costa (40%). Mentre per il rischio idraulico il primato di rischio idraulico spetta all’Emilia Romagna. Il comune record in assoluto, con l’85% di territorio sigillato, è Casavatore, un piccolo paese nel napoletano.